martedì 29 aprile 2014

Skype-migranti

Sono al supermercato con mia figlia ... Fuori diluvia, molti i frastuoni, le luci, i movimenti.

Chiedo a mia figlia se ha visto la ricotta, e subito una signora non giovanissima che fino a quel momento non avevo notato, alza lo sguardo  verso di me e mi sorride: " Che bello sentire parlare  Italiano!".

Mi fermo a chiacchierare.

Non e' la prima volta che ci accade, anzi!!!! Non so ben dire da cosa dipenda questa giovialità' di rapporti tra perfetti sconosciuti ma, di fatto, da quando siamo sbarcati qui, partendo da Ikea, passando per gli arrivi del Boston Logan Airport,  alla pista di pattinaggio, fino al supermercato di oggi, questi sono stati i luoghi dove fino ad oggi abbiamo avuto modo di incontrare italiani, e di ritrovarceli poi anche in altri contesti, fino ad arrivare ad una stabile e piacevole frequentazione; Amiamo dire che gli Italiani a Boston e hinterland sono come la "corona di un rosario": conosciuto uno, "sgrani" molti altri. 
La Signora che mi ferma pero', appartiene ad un altro  tipo di immigrati a Boston: e' della provincia di Frosinone, e mi racconta che e' arrivata qui negli anni cinquanta, che ha smesso di lavorare da poco, e solo da pochi anni si permette il lusso di tornare ogni anno a casa.  Mi chiede come mai sono arrivata  qui, le racconto, e lei ad un certo punto mi chiede se ho nostalgia.

C'e mia figlia con me, va bene la giovialità ma devo comunque "fare la parte" (almeno con la perfetta sconosciuta incontrata al supermercato ), cerco di sdrammatizzare, le dico che quest'anno e' volato, che non abbiamo mai veramente sentito la " cesura" dalle persone care, grazie a Skype, What's up, telefonate giornaliere attraverso i numeri verdi.
La signora mi guarda mentre parlo, annuisce mi dice che ai suoi tempi si parlava soprattutto con i telegrammi e che anzi, l'arrivo di un telegramma era foriero di notizie infauste e poi ... si sgretola!!!!   Mentre si commuove,  mi racconta che nel 1962 il padre si ammala e lei via telefono, attraverso ben 3 collegamenti ( Boston-New York, New York-Roma, Roma-Frosinone)  riesce a salutarlo per l'ultima volta............13 minuti di conversazione = 130 dollari.
Ci salutiamo, mi abbraccia e mi bacia: mi ringrazia per la conversazione.

Io vado via dal supermercato  senza ricotta, con il cuore in subbuglio: saremmo stati noi in grado di sopportare quanto i nostri padri hanno patito lontano dai loro cari? Esiste il modo di non mandare perdute tali memorie? Possiamo noi fare tesoro di queste sofferenze passate?

4 commenti:

  1. I miei genitori vennero nel 1957. Mio fratello nacque qui.
    Quando mio papà ricevette il telegramma con la notizia della morte del padre...c'era già stato il funerale...

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  2. Possiamo?
    Ce la faremo noi, anche con Skype e tutto il resto?

    Siamo poca cosa, dopotutto... ma quante vite straordinarie son state vissute.

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  3. A Ellis Island c'è il museo degli emigranti e con l'innata capacitá tutta americana di fare business hanno trovato il modo di lasciarci un ricordo perenne dei nostri cari che hanno contribuito col loro lavoro a far grande l'America. Mia mamma ha acquistato la fotografia del registro originale che riporta la firma di entrata negli USA del mio bisnonno nel 1913. Poi abbiamo fatto anche scolpire il suo nome su una stele.
    E Antonio quando è stato a NY ha verificato. Devo dire: una emozione fortissima. A presto. J.

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  4. Io ne dubito, almeno per quel che mi riguarda.... ho letto il libro scritto da un nostro cliente e mi sono resa conto che davvero, ai quei tempi, partire era per sempre e riuscivi ad avere ben pochi contatti con rimaneva "a casa".
    Un saluto da Reno!!

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